Il cambiamento come processo complesso che parte da noi

Il cambiamento come processo complesso che parte da noi

Lo scorso 19 maggio la scuola grande di San Giovanni Evangelista ha aperto di nuovo le porte ad InspiringPR, il Festival delle Relazioni Pubbliche giunto quest’anno alla sua quinta edizione.

Ancora una volta è Venezia a fare da sfondo alla manifestazione, città romantica ed eterna, sospesa nel tempo eppure in continuo mutamento. Una città che è ogni giorno incrocio di culture, di popoli e di relazioni, una città che cambia di giorno in giorno.

Proprio il cambiamento è stato il filo conduttore che ha guidato gli speaker che si sono alternati sul palco, raccontando la propria storia e cercando di farsi ispiratori per una nuova declinazione alla trasformazione.

Ma cos’è quindi questo cambiamento? È possibile rifiutarsi di cambiare, cercando di rimanere ancorati alla nostra routine, senza essere influenzati dall’ambiente esterno o dalle proprie pulsioni interne? E nel caso in cui questo fosse possibile, la nostra società si sente all’altezza di un mondo che non è mai uguale a quello del giorno prima?

Non è necessario cambiare ma del resto, nemmeno sopravvivere lo è”, dice Alessandro Rimassa, Direttore e cofondatore di TAG Innovation School -scuola dell’innovazione e del digitale di Talent Garden- e tra i massimi esperti italiani di digital transformation. Durante il suo intervento “Il Cambiamento come opportunità”, si è concentrato su come il modo di lavorare, di formarsi e il nostro modo di vivere stiano cambiando sotto la spinta della trasformazione digitale e su come, partendo proprio da questa, sia necessario ripensare la nostra stessa società basandola su nuovi valori volti alla costruzione di una Human Centered Society. Viviamo nell’epoca del cambiamento e del perfezionamento continuo ed a proposito lo stesso Rimassa fa un esempio che calza perfettamente, riferendosi al nostro smartphone che in una sola notte aggiorna le applicazioni che usiamo ogni giorno e ci mette di fronte ad una realtà che cambia e che tende al mutamento e al miglioramento. È una realtà empirica quella in cui viviamo, una realtà che giorno dopo giorno sperimenta, cambia e appunto, cerca di migliorarsi. Perché il cambiamento è anche e soprattutto questo: la tendenza a migliorare le condizioni esistenti.

Possiamo decidere se accogliere la sfida del cambiamento continuo o se quella sfida non ci interessa. E se dovessimo scegliere di non essere interessati, decideremmo allora di non essere protagonisti di un mondo che cambia e continuerà a cambiare. Decidere di restare ad osservarlo significa non essere più partecipi del nostro futuro.

Abbracciare il cambiamento significa quindi il voler continuare a vivere da protagonisti e non da spettatori e per fare questo è necessario che anche le nostre competenze si evolvano con il mutare del mondo circostante. Un mondo che si trasforma in modo sempre più digitale, tanto che il 65% dei bambini che iniziano il loro percorso formativo quest’anno, probabilmente occuperanno una posizione lavorativa che ad oggi non esiste ancora. In questo contesto assume quindi una rilevanza non più trascurabile il Life Long Learning, un approccio alla formazione e alla cultura del lavoro imprescindibile per rendere le nuove generazioni protagoniste del proprio presente e della costruzione del proprio futuro. Una formazione continua e aggiornata, volta a migliorare le proprie skills e acquisirne di nuove. Imparare e disimparare continuamente, eliminando le dinamiche e i contenuti obsoleti sostituendoli con modi, concetti e strumenti nuovi.

“La straordinaria possibilità che il digitale ci dà è di essere parte di quel futuro non più da soli, ma facendo parte di un insieme, in un’ottica di collaborazione continua tra chi è vicino e tra chi è lontano, tra chi ha una competenza piuttosto che un’altra. Il digitale ci mette tutti sullo stesso piano. Dobbiamo quindi essere pronti a lasciare qualcosa di nostro per accogliere qualcosa di qualcun altro.

L’approccio è perciò un elemento fondamentale del cambiamento. Lo evidenzia nel suo speech anche l’ingegnere, startupper e nomade digitale Filippo Scorza con “Il cambiamento come viaggio all’interno di se stessi”, che pone l’accento sulle doti che deve avere un buon leader e sulla necessità di mettersi continuamente in gioco, di esplorare ed esplorarsi, per fare in modo che ciò che facciamo, abbia una ripercussione positiva sulle persone o nel contesto sociale in cui agiamo.

La sua storia parte da un calcolo e da una serie di domande: dopo aver contato quante ore ha speso lavorando e aver trovato la risposta al cosa e come stava facendo, si è chiesto perché lo stesse facendo. Questa domanda l’ha portato ad una decisione rischiosa: le dimissioni. Durante il suo percorso professionale è cresciuto, ha acquisito nuova competenze, raggiunto obiettivi e visto realtà aziendali diverse ed interessanti, ma tutto ciò non era più sufficiente a trattenerlo dalla tentazione di rischiare. Rischiare dedicandosi ad un progetto, in posti lontani da casa, dove però ha avuto la possibilità di creare un impatto virtuoso sulla comunità. Mentre si stava imbarcando sull’aereo che l’avrebbe portato a Nairobi, in Kenya, ha ricevuto il messaggio di un amico che diceva

“Il rischio peggiore è quello di non correre nessun rischio”.

Il rischio in questo caso è correlato alla voglia di comprendere più a fondo se stessi e individuare nuove attitudini che potrebbero aprire scenari impensabili, come diventare un insegnante di informatica o più precisamente di coding, in una scuola del ghetto di Nairobi, diventando così volano non solo per il proprio cambiamento, ma anche per l’innovazione degli altri.

Sicuramente la sua non è stata una scelta semplice, ma oggi Filippo è un punto di riferimento per molti ragazzi, che in lui vedono un esempio da seguire. Non perché si sia imposto con l’arroganza o grazie a gerarchie, ma grazie al suo pensiero e alle proprie azioni. “Il leader è colui che riesce a costruire un ambiente di lavoro e relazioni virtuose basandosi sulla fiducia; che riesce ad ispirare le altre persone, a catalizzare la loro attenzione attraverso le azioni, il pensiero e il modo di essere. Colui che attiva e velocizza processi e reazioni. Infine il buon leader è colui che intraprende un percorso o avvia un’attività, come se fosse il migliore sul campo. Non importa poi il risultato, probabilmente fallirà e finirà in ultima posizione. Quello che importa è che quando inizi un percorso nuovo tu sia il migliore nell’approccio, perché così riuscirai a catalizzare le persone dando vita alla magia

Credo che la risposta al suo “perché”, si possa ritrovare anche nelle sue parole “Viviamo in un tempo indefinito e facciamo cose più o meno importanti. E le cose importanti e belle che facciamo danno uno scopo alla nostra esistenza e non esiste cosa più bella di fare un qualcosa di importante che abbia un impatto positivo sulla vita di qualcun altro”.

Viviamo in un tempo indefinito, liquido, complesso.

E proprio sul concetto di complessità si concentra un ulteriore l’intervento, quello del Professore Piero Dominici, “Abitare i confini, oltre la linearità. Il cambiamento come sfida educativa e comunicativa”. La contemporaneità è oggi quanto mai complessa e come ogni cosa complessa non è prevedibile e non è lineare, anche in un’epoca come la nostra e nonostante i grandissimi progressi in termini di predittività. Ad aumentare questa complessità si è aggiunto un cambio di paradigma: mai come oggi infatti siamo di fronte ad un ribaltamento di interazione complessa tra evoluzione biologica e evoluzione culturale che ci porta a mettere in continua discussione grandi certezze del passato.

Oggi, anche grazie all’uso delle nuove tecnologia, viviamo l’epoca della disintermediazione. Queste nuove tecnologie corrono e si sviluppano più velocemente dell’evoluzione culturale delle persone, dando così vita ad una realtà ipercomplessa. Una nuova dimensione data dalla velocità delle nuove tecnologie digitali e dalla viralità delle comunicazioni.

È in questa società così avanzata e disintermediata che c’è un forte bisogno di qualcuno in grado di comprendere e di conseguenza trasmettere fenomeni e concetti più o meno complessi e che nel frattempo, ridisegnano le logiche della formazione sul lungo e breve periodo. Così come non esistono risposte semplici e problemi complessi, allo stesso modo non si può affrontare un’epoca ipercomplessa con strumenti e i modi e paradigmi del passato.

Il cambiamento è, secondo il Professor Dominici, complessità sociale e gestione della stessa, per questo bisogna ripensare le persone e la formazione sul lungo periodo.

Il cambiamento come sfida educativa e comunicativa: bisogna ripensare a fondo le istituzioni educative e formative ma anche sulla consapevolezza perché la conoscenza si annida sempre negli errori della vita ed è soltanto alla fine delle certezze che può prodursi conoscenza e creatività.

Ciò che questa serie di incontri ci ha fatto capire è una forte urgenza di intervenire sulla cultura, per evitare che strumenti potenti come il digitale e la tecnologia siano usufruibili a pieno solo da pochi. Per far ciò è necessario ripensare la nostra società, i nostri studi e la nostra formazione continua. Non ci si deve stancare mai di essere curiosi, di avere voglia di scoprire un mondo che resta ancora inesplorato.

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